Buona la prima!

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Non solo involucro, ma anche potente strumento di marketing. La copertina è sempre più depositaria del destino di un prodotto editoriale – libri, riviste, dischi, cataloghi – soprattutto quando, come nell’e-commerce, non è possibile andare a curiosare nei contenuti. Come progettare, quindi, per suscitare il desiderio dei lettori?

Giallo limone, giallo cartuccia di stampante, o, se preferite più tecnicamente, Pantone 108. Ecco com’è ultimamente, secondo Lucy Feldman del Wall Street Journal, la maggior parte delle copertine. Complice di questa tendenza è sicuramente Amazon, che solo negli Usa ormai copre intorno al 50 % delle vendite di libri online e sta progressivamente spingendo grafici ed editori a usare colori sgargianti per rendere sempre più evidenti le copertine sulle sue bacheche virtuali, rinunciando al contrasto più forte per l’occhio umano, ossia il nero su bianco.

«Il digitale trasforma gli oggetti in icone –  sostiene Feldman –  impone la rinuncia alla terza dimensione, al tatto e all’olfatto, e trasforma gli occhi negli unici giudici». Significa che le caratteristiche materiali come la carta, la rilegatura, la porosità, le nobilitazioni devono fare i conti con l’online, formati compresi. Anche secondo Paul Sahre, illustratore del New York Times, «Amazon sta cambiando la progettazione delle copertine, non solo nelle proporzioni: hanno bisogno di essere leggibili su tutti gli schermi, spesso in dimensioni ridotte. Nella maggior parte dei casi, le sottigliezze del libro fisico nel digitale non si traducono bene.

Prendete il libro di Patton Oswald intitolato Zombie Spaceship Wasteland (01): il testo rosso su fondo blu stampato è perfetto, in digitale l’effetto di compressione creava una sfocatura illeggibile dei colori. Era un casino ed era totalmente inaspettato. Chi progetta le copertine oggi ha bisogno di conoscere anche queste cose». Queste considerazioni, valide per i libri, in realtà coinvolgono tutto ciò che ha una coperta. E devono far riflettere chi progetta perché tenga conto anche di tutti i luoghi reali o digitali in cui il suo stampato sarà visto. I siti di e-commerce di libri sono pieni di foil metallici resi opachi, di mezze-tele con strisce nere sul lato sinistro, di fustellature invisibili e di cartonati fotografati dall’alto senza il canalino perché si crea un’antiestetica ombra grigia.

Suscitare il desiderio
In principio – un principio durato almeno tre secoli – i libri erano nudi. Venivano acquistati in fascicoli e rilegati solo in seguito a seconda delle disponibilità, dei gusti e di altre rilegature già presenti nella libreria di ciascun lettore. L’invenzione delle copertine come le conosciamo oggi è il frutto dell’editoria industriale, quando i libri incominciarono a essere letti da un pubblico più vasto che obbligò editori e legatori a inventarsi tecniche sempre più economiche. La copertina però non è solo un involucro, una protezione, è un potente strumento di comunicazione e di marketing, di un libro, certamente, ma anche di qualsiasi altro stampato. La copertina incornicia, cerca di attirare verso l’interno, spia il contenuto, escludendo tutto quello che è fuori. E come ha detto Riccardo Falcinelli, art director per molti editori italiani che ha all’attivo diversi saggi sul tema, la copertina è «un’immagine che suscita il desiderio dei lettori» che racconta una storia e «non è solo una foto, un lettering, una grafica, un tipo di confezione, ma la somma di tutte queste cose».
Stando ai manuali di tecnologia grafica, i tipi di copertina non sono poi tanti e tutti dipendono dal tipo di confezione: in generale, si va dal semplice quartino in carta più pesante usato per il punto metallico alle coperte cartonate, più o meno con sovraccoperta, usate per brossure fresate o cucite. A queste si aggiungono confezioni e copertine speciali che altro non sono che variazioni sul tema e che hanno origini molto antiche come la legatura copta o giapponese con tutte le componenti cucite insieme sapientemente: il punto metallico e la cartonatura oggi sono tecniche che nascono dalla semplificazione di queste tecniche artigianali, che richiedevano alta manualità e che hanno dovuto lasciare il passo all’industrializzazione dello stampato. Per cucire con il filo singer, ad esempio, ogni copia deve essere cucita singolarmente con una macchina di derivazione tessile. Finezze, che indubbiamente affascinano. Così come affascinano e si fanno notare le nobilitazioni, i tagli o le fustellature ardite, i montaggi sfalsati delle segnature, i dorsi mancanti, i fili a vista, i punti colorati o i mille e più espedienti che la fantasia può mettere in campo fino a stravolgere il concetto stesso di stampato come fatto per la prima volta da Mondadori nel 1987 che realizzò Libidine di Roberto D’Agostino: 20 pagine stampate su materiale plastico e… gonfiabili! (02)

Punti
Il punto metallico di per sé è considerato un tipo di confezione estremamente economico, eppure non mancano stampati con copertine particolarmente accattivanti. Si tratta di un quartino di carta di solito più pesante a proteggere le pagine interne per stampati veloci, destinati a durare poco, con grammature leggere e foliazioni basse per il limite stesso del punto, che difficilmente riesce a tenere insieme più di 96 pagine. Si può salire, ma la carta dovrà essere leggera e si pagherà lo scotto della difficile apertura, del distacco dei fogli e del punto che taglia il dorso. Eppure si può dare risalto alla copertina usando materiali di pregio, fili colorati o giocando con i punti, come nel catalogo Lee Jeans con pagine a battente e 3 punti metallici sul piatto (03).


O ancora come ha fatto Studio Emmi che per The Finnish Institute di Londra ha realizzato un company profile in doppia versione: una composta da una brochure con coperta porta biglietto da visita più piccola cucita con punto metallico e battuta al piede, l’altra con una doppia copertina composta da un cartoncino fustellato nell’angolo alto adiacente al dorso e 2 tagli per il biglietto da visita che sovrasta un secondo cartoncino più corto sul quale è stampato l’indice (04). Werner Design Werks ha invece realizzato un cofanetto con una serie di libriccini rubricati fustellando la copertina in piega (05).

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Volendo altre soluzioni, più eleganti e alternative al punto metallico, si può ricorrere al singer. La cucitura può essere fatta sul dorso dopo aver raccolto e accavallato le segnature, oppure singola o doppia sul piatto, o ancora come decorazione. È un processo semi-artigianale e non troppo veloce. L’agenzia Design Ranch, ad esempio, per il brand americano Finefolk ha centrato tutta la comunicazione sulla metafora del filo sartoriale e ha usato il singer dalle buste istituzionali alle brochure con coperta in tela e carta riciclata Rolland Enviro (06).

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Brossure
Ma è la brossura, soprattutto fresata, che va indubbiamente per la maggiore. Tipo di copertina e tipo di confezione si influenzano a vicenda: la macchinabilità, anche con materiali particolari o misti (carta e supporti plastici, ad esempio), è sempre molto alta; la fresatura e le diverse tecniche di incollaggio (dalla vinilica alla hot melt, al PUR) garantiscono la tenuta e la possibilità di imbavare facilmente altri stampati (dalle schede in carta o formati diversi a veri e propri fascicoli); i limiti di grammatura e di spessori hanno ampi margini, e in più si tratta di una lavorazione tutto sommato economica che consente anche soluzioni particolari. Quartini, battenti in prima e/o in quarta sono facilissimi da trovare sia nei magazine che nei cataloghi più patinati. Rinforzano la coperta, attirano l’attenzione e consentono foto estese su coperta e battenti. Ma ci sono possibilità meno esplorate come sfruttare la prima di coperta per accoppiarci un porta-cd come ideato dall’agenzia inglese Company per il catalogo Athens By Sound commissionato dal ministero del Turismo greco (07), o il battente in quarta, chiuso in testa che si apre verso l’alto, che per essere realizzato richiede la fustellatura. Non mancano esempi anche nell’editoria: Bompiani ha collane con brossure con gli angoli stondati (08), mentre Mondadori mezze-tele brossurate e tagliate al vivo per la collana “900 Italiano” (09).

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Ma è con i quartini rovesciati che la brossura fresata diventa davvero d’impatto. Gli inglesi la chiamano “french-fold”, ma è conosciuta anche come piega alla giapponese e può avvenire per raccolta di quartini o ottavi a finestra (dipende dal legatore) che verranno fresati e incollati non, come avviene di solito, lato dorso quindi sulla piega, ma sul lato aperto. Le pagine risulteranno chiuse: può sembrare illogico, ma le pagine interne comunque stampate possono essere usate per ingaggiare il lettore in un gioco di scoperta del contenuto, come nel libro An inquiry into meaning and truth realizzato dall’agenzia olandese Main Studio (10). Il Gruppo Padovana, invece, ha realizzato un volume in fresata con segnature rovesciate più lunghe del resto del blocco libro (11). Volendo, si può simulare l’effetto del vecchio libro in cui occorreva aprire le pagine: una sorta di brut de roto, che però ha le segnature chiuse anche in testa. Attenzione solo alla grammatura della carta o al numero delle pagine per evitare sgradevoli effetti ventaglio del volume che tenderà ad essere più alto sul lato aperto a causa della piega.

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Cartoni
Diversamente da quello che potrebbe sembrare, la versione cartonata di una copertina non è necessariamente la versione nobile della brossura fresata. Oggi più che mai il cartonato ha invaso anche fasce più basse del mercato: si fresa il blocco libro, volendo si mettono i capitelli, e si incassa senza bisogno per forza di cucire le segnature. L’effetto è lo stesso, il costo è inferiore e si libera budget per gli effetti speciali. In fondo, potrebbe non essere così indispensabile la tenuta di una brossura cucita. La copertina cartonata è composta da una plancia di carta o di altro materiale, la quale riveste due plance in cartone grigio unite dal corpino del dorso. Solitamente le plance sono leggermente più grandi rispetto al volume a formare un’unghia, e rimboccate, e tutta la copertina è tenuta insieme al blocco libro dai risguardi, quartini accoppiati alla II e III di copertina e incollati alla prima e l’ultima pagina. Insomma, di elementi con i quali creare varianti ce n’è in abbondanza. Si può giocare con i materiali come nella mezza-tela, tagliare al vivo tutto il volume e lasciare a vista il cartone delle plance, che non necessariamente deve essere grigio, ed esaltare le pagine con un taglio colore su tutti i lati come in un portfolio per Bulgari (12). Si può sbalzare la plancia, imprimerla a caldo e applicare un’immagine in uno scasso, fustellarla per mostrare parte della I romana, come il catalogo Blue Diamond confezionato per Lanpas da Gruppo Padovana con tanto di strass applicati (13); o accoppiarci un tessuto “peloso” come è stato fatto per il libro dedicato al musical Avenue Q con protagonisti i Muppets (14).

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Si possono usare i dorsi, tenendoli tondi, quadri o addirittura fustellarli come nel catalogo della School of Visual Arts di New York realizzato dallo studio americano Poulin + Morris (15), fino a farli scomparire del tutto, mettendo a nudo parti che normalmente sono semilavorati. Destrutturare lo stampato è ormai una tendenza, un gioco di bravura per design e legatori.

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L’incollatura a vista richiede di solito una legatura filo refe. In pratica le segnature, piegate e cucite, vengono solo incollate e non incassate. L’idea è quella di entrare nel processo industriale con la colla e il filo a vista, enfatizzando anche l’aspetto tattile, e in più sfruttare la cromaticità della carta, del filo o della stampa come ha fatto la graphic designer Isolde Fitzel per la pubblicazione Dokument per il Design Forum di Vienna (16).

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Arrivando perfino ad annullare quasi del tutto la copertina, come in un volume di Legatoria Berto dove segnature e coperta sono indistinguibili (17).
Il dorso a vista si può fare anche senza cucire: dopo la piega le segnature non vengono fresate per sfibrare la carta e creare miglior appiglio per la colla, ma tagliate a schede che vengono incollate in modo da formare una superfice piana sulla quale stampare, tampografare o serigrafare come nel celeberrimo volume Gisele Bundchen di Taschen che tecnicamente è un cartonato svizzero con tagli a 45° e il blocco libro è incollato sul dorso (18).

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Il virtuosismo può spingersi fino al dos-a-dos in cui le plance del cartonato sono 3 e i dorsi 2 come nel libro fotografico Bailey+Rankin dello studio Rankin Photography (19).

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Variazioni sul tema
È comunemente definita “bodoniana” una rilegatura che unisce copertina, dorso e retrocopertina tramite i risguardi nella parte interna e la garza sul dorso. Esempi molto eleganti sono la monografia dei 40 anni di Velux ideata da Elena Ziletti e realizzata da Intergrafica Verona o il volume Saloes de Paris dell’editore brasiliano Carambaia che raccoglie 21 saggi di Marcel Proust, con tela nera e taglio colore in oro (20).
Particolare è la brossura flexicover, che si ottiene unendo la copertina al blocco libro mediante incollatura laterale, mentre il dorso del blocco libro è rinforzato con una garza o una striscia di carta. In questo modo il dorso del blocco è staccato dal dorso della coperta. Meno rigida è invece la cosiddetta “olandese”. La differenza è tutta nel modo e nel materiale che si utilizza per realizzare e accoppiare la plancia: solitamente si usa una carta da 250 a 400 gr/mq stampata e plastificata con i lembi esterni rimboccati, per aumentarne la resistenza e rifinire i bordi, ma volendo, si può usare un materiale plastico come nelle agende o nei dizionari da viaggio. La copertina viene applicata al blocco libro, cucito o fresato, incollandola sui risguardi. La consistenza è insomma inferiore a quella del cartonato ma la veste è ugualmente importante e si adatta perfettamente alle pubblicazioni di carattere più commerciale (21).

Coprire la coperta
La sovraccoperta è un altro modo per dare valore a un volume: ha un costo tutto sommato contenuto nell’economia dello stampato e dà ampio margine di personalizzazione, ricoprendo una funzione che va oltre la semplice protezione e si declina dalla fascetta di pochi centimetri di altezza, usata prevalentemente a fini di comunicazione, alla sovraccoperta antistrappo, o all’americana, che ha anche la vera funzione di protezione. L’uso di un ottavo a finestra che fasci tutto il volume nasce con l’industrializzazione del libro dove il cartonato è solo brossurato, ma si vuole dare l’impressione di un volume di pregio e così lo si riveste e allo stesso modo si ha tutto lo spazio per le parti di paratesto necessarie per la vendita, in particolar modo le alette che ospitano biografia e sinossi. Ma la sovraccoperta è diffusa anche nei volumi non cartonati quando si vuole solo rivestire il volume, anche se non mancano esempi come la Saggistica Rizzoli che, sulla copertina cartonata in carta Fedrigoni Imitlin, stampa tutto rinunciando alla sovraccoperta (22).

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Adelphi, di contro, doppia di fatto la copertina tenendone una interna senza stampa in carta più pesante e incollata al dorso alla sovraccoperta stampata; Mondadori di fatto alza la difficoltà sfruttando sapientemente il taglio: negli Oscar 451 i volumi hanno doppia copertina e la sovraccoperta esterna non solo è fustellata in prima, ma ha l’aletta in quarta refilata con il blocco libro a formare un segnalibro (23).
La rivista online nerve.com per il decennale pubblica un volume ricoperto in vinile magenta trasparente termosaldato con una stampa a caldo (24).

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Un bel gioco è la fascetta di Quantum of Solace di Penguin della serie di 007: il volume si presenta come un dossier dell’Mi6 e come tale ha i testi impressi su carta kraft, come battuti a macchina, il timbro dell’editore a secco e il timbro del protocollo (25). Ardita è la scelta di Art of McSweeney’s, numero commemorativo della rivista edita dall’omonima casa editrice, la cui narrazione inizia proprio dalla sovraccoperta rimboccata con i risvolti pari che fa anche da poster (26).

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Un mix ben riuscito di nobilitazioni e uso creativo della brossura è il volume Living With Nature, composto da segnature french-fold brossurate in carta naturale, coperta stampata a 3 colori con impressioni a caldo in foil blu e una sovracoperta all’americana anti-strappo che, se stesa, forma un poster, più corta e battuta al piede del volume (27).
Insomma, la copertina è il regno della creatività, è l’elemento di uno stampato in cui ci si gioca tutto perché come ha detto una volta Chipp Kidd, il book designer di Penguin Random House, «le librerie, anche quelle online, sono come le discoteche: per attirare l’attenzione hai 3 secondi, al massimo 5, quindi sei libero di decidere di non vestirti bene, ma devi sapere che non avrai chance diessere notato».

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Il toolkit del designer felice

anton krupicka

Dall’idea creativa al visto si stampi, una panoramica degli strumenti grandi e piccoli per la progettazione che semplificano la vita ai designer: plug-in, library, configuratori, fino alle piattaforme più evolute per gestire il workflow di produzione.

Oggi, dopo poco più di trent’anni, sul solo sito dafont.com sono disponibili più di 57 mila font pronti all’uso, il nuovo sistema operativo Apple ne mette a disposizione 572 e un qualsiasi text editor consente un’infinità di combinazioni tra corpi, interlinee, tracking e crenature… <continua a leggere>

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Liberi di leggere

Per molte persone i libri costituiscono vere e proprie “barriere architettoniche”. Ma se tutti sappiamo che il braille è il metodo di scrittura e lettura per ciechi e ipovedenti, cosa succede quando a dover essere letto è un e-book? E quali sono gli standard per rendere inclusivo un libro, digitale o fisico, per chi ha bisogni educativi speciali (BES) o disturbi specifici dell’apprendimento (DSA)? Dai formati re-flowable all’uso di tag semantici, dalla scelta del font all’uso del colore, ecco cosa bisogna sapere sui libri accessibili.

L’idea del metodo di lettura e scrittura tattile che porta il suo nome venne a Louis Braille nel 1829, quando <continua a leggere…>

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Playboy e il jpeg

Playboy, novembre 1972

Il numero più venduto dell’intera serie mondiale di Playboy fu quello del novembre 1972 dell’edizione USA, con 7.161.561 copie vendute. La copertina fu realizzata da Jack Niland. Una porzione del paginone centrale di questo numero (dedicato alla playmate Lena Sjööblom) divenne un’immagine standard per il collaudo degli algoritmi di elaborazione digitale delle immagini; l’immagine è nota nel settore col nomignolo di Lenna (o Lena).[2]

Nei primi anni 1970 alcuni ingegneri del dipartimento di elaborazione segnali e immagini dell’University of Southern California svilupparono uno scanner per le loro ricerche nel campo dell’elaborazione delle immagini, che successivamente condusse agli standard JPEG e MPEG. Le ricerche erano finanziate dal Pentagono nell’ambito del progetto ARPANET.

Per “sfida” interna tra le varie immagini campione fu usata l’immagine di una playmate della pagina centrale della rivista Playboy. Avendo bisogno di un’immagine con un viso umano, presero la parte superiore della immagine della pagina e iniziarono a sperimentarla sullo scanner. L’immagine doveva essere di 512×512 pixel, ed avendo lo scanner una precisione di 100 dpi effettuarono la scansione su un quadrato di 5.12 pollici. La modella ritratta era Lenna Sjööblom, una ragazza svedese che lavorava a Chicago nel 1972 e che era diventata coniglietta di Playboy nel novembre dello stesso anno. Solo diversi anni dopo scoprì che la sua immagine della pagina centrale era diventata una sorta di “cavia da laboratorio” per gli ingegneri di mezzo mondo. Fino al 1991 il SIPI distribuì l’immagine di Lena facendosi corrispondere una commissione di utilizzo, in tutto il mondo. La modella fu estremamente colpita e felice di vedere la propria immagine su giornali e libri.

Playboy non era a conoscenza di quest’uso fino a quando la rivista Optical Engineering mise la foto di Lena sulla copertina dell’edizione di giugno 1991. A seguito di tale pubblicazione Playboy, che deteneva i diritti dell’immagine, scrisse all’editore chiedendo chiarimenti. Fu raggiunto un accordo, che permise all’immagine, ormai divenuta standard di fatto, di entrare nella leggenda.

Wall Street Journal abbandona la carta in Europa e in Asia

La notizia è di ieri la questione è la solita lotta tra la carta e il digitale. Chi vincerà? Dipende da cosa si intende. E anche la nota di News Corp, editore del Wall Street Journal, secondo me, è sibilina: “continuiamo a tenere sotto controllo l’equilibrio tra copie cartacee e digitali e stiamo osservando una rapidissima crescita nella domanda da parte dei clienti dei prodotti digitali“. “Equilibrio tra copie cartacee e digitali” e “crescita dei prodotti digitali” queste sono le parole chiave, ma non sono esattamente la stessa cosa. Equilibrio tra carta e digitale significa che i lettori rispetto allo stesso giornale e alle stesse notizie (più o meno adattate) preferiscono due mezzi diversi, probabilmente a seconda delle loro abitudini di lettura. Se ho l’abbonamento all’online e leggo in metro sono più comodo che leggere la copia cartacea appeso come un prosciutto sui mezzi. Mentre preferire prodotti digitali non significa tout court copie digitali. Non è il solo mezzo che cambia. È il modo in cui si fa informazione che il lettore sta sollecitando a cambiare. Poi il mezzo viene di conseguenza.

Come sottolinea il Financial Times il crollo della stampa è inarrestabile: -20% per il settore nel 2016. Il crollo della stampa, si badi bene, non dell’informazione. Tutto oggi informa, non serve il giornale, di carta o digitale che sia. È qui il punto. È il modello di informazione che sta cambiando, dal basso e chi sull’informazione ci campa sta tentando di resistere, ma è solo questione di tempo. È il modello di business che non sta più in piedi. Con le notizie gratis e un’infinità di modi per averle fare gli editori e fare informazioni non è sostenibile. Quindi? O le notizie si pagano e si pagano tutte le fonti (altrimenti ce ne sarà sempre un’altra libera a disposizione: modello iTunes, Spotify, GooglePlay, … che hanno sconfitto di fatto la pirateria) o si fa informazione senza guadagnare, ma anche senza avere i fondi necessari per pagare chi queste notizie le trova, le scrive e distribuisce.

È il paradosso della gratuità. E non parlatemi di pubblicità online, la grande illusione ignorata da tutti nella loro navigazione. Paradosso che la nostra società dovrà affrontare. La deriva al costare meno e l’asintotico al gratis sono sempre più sdoganato: dal nuovo Vodafone Pass al pomodoro che rende di più buttarlo che venderlo, tanto bassi sono i prezzi per i produttori.

Gratis va bene, certo: ma tutto, per tutti.

 

 

Tipi di cartone ondulato

Cercate come si chiamano i vari tipi di cartone ondulato. Due semplici immagini possono aiutare.

Il cartone si compone di una copertina esterna, una copertura esterna e una serie di onde separate da un foglio teso. Il numero di onde definisce il tipo di cartone come si vede dallo schema sotto.

Gli spessori di onda sono invece rappresentati dallo schema sotto.

Per approfondimenti date un’occhiata al sito di adaptivepack.it

Impaginare è facile

Devi impaginare una tesi, un romanzo, un progetto e non sai dove cominciare? Ci sono online programmi facili, intuitivi e quasi sempre gratuiti che rendono accessibili ai principianti tutte le funzioni per un lavoro grafico corretto. Una valida alternativa ai più potenti tool di desktop-publishing tipo Indesign.

Volantini, cartoline, menu, biglietti d’auguri o da visita, newsletter o veri e propri libri…non c’è chi non abbia voluto cimentarsi almeno una volta con gabbie, tipi di caratteri e foto per creare la propria pubblicazione. Peccato che di software facili sembra non ce ne siano poi molti e da profani certo non è il caso di acquistare Adobe Indesign o QuarkXpress, professionali sì ma decisamente poco intuitivi. Eppure a ben guardare, in giro c’è tutto quel che serve. Gratuito o a pochi euro.

1. WORD

Prima di cercare altrove, sappiate che un primo potente impaginatore ce l’avete tutti i giorni sotto gli occhi: Word! Tra i suoi modelli ci sono quasi tutte le più comuni pubblicazioni compresi calendari, brochure, poster, segnalibri, curricula… tutti da personalizzare a piacimento. Volete dare sfogo alla fantasia? Partite da un foglio bianco e sviluppate la vostra idea. Sarà scontato, ma potete impostare voi il formato pagina, scegliere tra le centinaia di font disponibili (a proposito, provate a dare un’occhiata a dafont.com), scegliere i colori, importare e modificare immagini, numerare le pagine, giustificare il testo, farlo correre attorno alle foto, usare le colonne, inserire grafici e tabelle. Insomma, non manca nulla compreso un potente correttore ortografico e il salvataggio in pdf a una qualità sufficiente per la stampa domestica o da ufficio. Ricordate solo che il nero non è gestito come un solo colore e che non è possibile gestire abbondanze e i segni di taglio.

2. LUCIDPRESS

È un web-app per creare contenuti pubblicitari ed editoriali in modo estremamente semplice e senza installare nulla. Ci si registra e si ha accesso a ben 75 modelli di pubblicazione dalle quali partire e una ricca serie di funzionalità che non hanno nulla da invidiare al più blasonato Indesign. Attraverso un’interfaccia grafica completa e intuitiva si è subito operativi ed è semplice gestire formati, stili del testo, posizionamento delle immagini, l’uso di livelli e delle trasparenze per creare effetti grafici professionali. È possibile salvare per la stampa in pdf o in altri formati digitali, il tutto per poco meno di 12 euro/mese. Lucidpress inoltre gestisce nativamente anche file audio e video da inserire nei documenti e gli hyperlink per creare documenti multimediali, utili in ambito aziendale e scolastico. È integrato con Google Drive per lo storage e la condivisione e permette l’importazione di immagini direttamente da Flickr, Facebook e Dropbox, senza ulteriori tempi di upload.

3. SCRIBUS

Si tratta di un potente programma di impaginazione grafica open source (gratuito) e multipiattaforma con il quale produrre pubblicazioni di livello commerciale. L’obiettivo dichiarato del programma è rendere accessibile ai principianti l’impaginazione grafica senza limitare le funzioni più professionali come la gestione dei colori per la stampa (pantoni compresi), la creazione di pdf stampa o il trattamento tipografico del testo. Lo strumento consente di lavorare a partire da modelli o da documenti nuovi, supporta livelli, immagini vettoriali (loghi e barcode), guide e griglie intelligenti per agganciare la grafica e allineare facilmente i vari elementi e le pagine mastro per l’applicazione ricorsiva di testate, bordi, numeri pagina. Non mancano gli strumenti per una corretta composizione del testo, compresi le giustificazioni, i rientri, i capilettera, la gestione delle interlinee, il circonda immagine e un potente editor che permette di dare diverse forme ai box di testo. Utilissima la funzione che esclude in automatico i caratteri installati sul sistema che potrebbero causare problemi in fase di visualizzazione o di stampa.

 

Addio a Maurizio Rosace

4-11Era il 1997, c’erano i Power Machintosh G3 sulla scrivania e il giornale lo facevamo con QuarkXpress 4. Era il 1997 e ti ricordo tutto vestito di nero come Johnny Cash, la barba nera e il tuo modo quasi da pianista di impaginare, quasi senza usare il mouse. Arrivavi con una Fiat Tipo grigio scura a orari impossibili da Roma alla fine di ogni numero con il tuo pacco di pellicole del giornale (i pdf li avremmo sperimentati nel 1999), sparivi dallo stampatore e poi ritornavi stanco con la prima copia, ancora bagnata. Ti raccomandavi di non aprirla perché la colla non era ancora asciutta.

Era il 1997 e non sapevo nulla di grafica e stampa. Quando venivi in Redazione a Milano restavo affascinato mentre impaginavi. Testi e immagini sembrava potessero andare in pagina solo in quel modo. Mi hai insegnato tanto, Maurizio: la grafica, la stampa, l’impaginazione, il lavoro. Hai assecondato la mia curiosità, mi hai portato a vedere la mia prima macchina da stampa (una roto Heidelberg 32 pagine, 2 sedicesimi al giro) e hai avuto fiducia in me quando mi hai detto “questa volta a vedere la stampa ci vai tu” e quando, dicendomi che cambiavi lavoro, ti sei speso perché fossi io a seguire la produzione di BookModa.
Sembra ieri: mi hai lasciato lì in sala stampa, sicuro che avrei imparato, sicuro che, da quel giorno, l’inchiostro sarebbe scorso anche nelle mie vene. E così è stato: se ho fatto tante scelte da quel 1997 lo devo anche a te.
Si dice che quello che si pubblica nel web resti per sempre, ebbene è proprio quello che vorrei. Vorrei che resti per sempre la mia riconoscenza verso di te.
Negli anni ci siamo persi; ogni tanto, quando venivi a Milano, mi mandavi un messaggio e mi dicevi che la prossima volta ci saremo visti. Non è mai più successo, ma, forse è meglio così. Ora, posso solo dirti grazie e ripensare con affetto e nostalgia a quel 1997 quando tutto è cominciato
Ciao, Maurizio, e grazie!
mela+maiuscolo+alt+^

Riflessione tipografica

Milano, metropolitana lilla, io e lui seduti di fianco: lui con un kobo e io con il mio libro L’ingegneria degli animali, di carta, non per scelta mia, ma di Adelphi che non fa la versione e-book di questo titolo. Alzo la testa per un attimo dalla pagina e guardo verso la pagina sul kobo.

L’ingegneria degli animali

L’ingegneria degli animali

Quanta differenza tra le mie righe perfettamente allineate e bilanciate e le sue righe frante che sembravano un pettine sdentato, tra il mio carattere graziato e elegante e il suo bastoni poco nitido e a tratti un poco sfocato, tra la mia carta avorio e il grigiore freddo del suo monitor. Ora, un e-reader ce l’ho anch’io (un kindle paper withe prima generazione, per la precisione), anch’io leggo libri digitali, forse più che cartacei. Anzi avrei apprezzato volentieri da parte di Adelphi la versione digitale di quel che stavo leggendo: qualche etto in meno nello zaino e una maggior maneggevolezza non guastano. Eppure, l’innegabile praticità del digitale si scontra con l’estetica, che pure ha la sua importanza.

Trovare una giustificazione

Forse basterebbe che tutti gli e-reader giustificassero il testo invece di lasciarlo a bandiera sinistra. La giustificazione del testo è forse il primo passo verso un’estetica di pagina che l’uomo ha ricercato fin dall’invezione della scrittura. Basti pensare alle iscrizioni antiche, ai copisti medievali, ai primi libri a stampa fino alla composizione a mano e ai sistemi di impaginazione elettronica. È innegabile: una pagina giustificata con i giusti margini, il peso corretto del carattere (non importa quale) e il giusto rapporto tra corpo e interlinea crea una pagina bella da vedere. Ora, credo, che chi legga su dispositivi elettronici, anche inconsciamente, ricerchi questa bellezza dello specchio di pagina: i margini si possono impostare, ma difficilmente si metteranno a zero o a colonna strettissima; il carattere si può scegliere, ma, per fortuna, la gamma è limitata a pochi bastoni o graziati (il comic, fortunatamente, non si può usare!) che si possono ingrandire o rimpicciolire così come si può usare un’interlinea più o meno amplia, ma il buon gusto guida la scelta.

Specchio, specchio delle mie brame

Cercare uno specchio di pagina bello non è una questione banale perchè la bellezza della pagina implica equilibrio delle parti e questo determina la leggibilità e il piacere di leggere, della mera azione meccanica. E al piacere ci si appella quando si difende a spada tratta il libro di carta: piacere che si ha nel maneggiare una pagina o nel sentire l’odore della carta. Lasciando perdere l’odore della carta che è tutto tranne che piacevole, visto che è un misto tra colla, caolino, cellulosa, polvere e sudore, se il libro è stato letto, il messaggio è chiaro. C’è qualcosa in quegli “aggeggi” digitali che stona. È come una musica in controtempo, può piacere, ma non è piacevole. Così il libro digitale nella sua esteticità, al di là del contenitore, al di là del device.

È la somma delle piccole cose che mancano a fare questa inconscia sensazione di non bellezza. Il libro digitale è un libro che non è ancora un libro. Il reader non fa altro che mettere in pagina il testo in memorizzato, testo che è a correre e fluido, cioè non imbrigliato sulla larghezza. Nel metterlo in pagina usa delle regole definite a priori che stanno in un file, detto css, che dice carattere per carattere che caratteristiche deve avere al variare della geometria delle dimensioni, della marginatura, del carattere e dell’interlinea scelta dal lettore. Ma il margine di manovra è limitato: il reader interpreta. La giustificazione invece, implica un calcolo e un dizionario di una certa lingua che dica dove spezzare le parole. Ecco questo è il motivo per il quale la giustificazione non si può avere sempre. In realtà i kobo ce l’avrebbe anche, ma i risultati spesso sono discutibili con vistosi buchi bianchi tra le parole. Gli editori, ve lo assicuro, lo sanno, ma fare un e-book deve costare poco, perchè deve costare poco comprarlo. Quindi si investe pochissimo.

Tipografia digitale

Intanto noi ci abituiamo a queste piccole brutture. L’orizzonte è chiaro: una parte della tecnologia sceglie il bruttino funzionale, un’altra (Apple in primis) pretende la massima perfezione possibile al netto del momento e della tecnologia disponibile (la storia delle interfacce è significativa). Però, tutto ha un costo: per costruire reader diversi, per creare nuove funzioni e css piacevoli… In fondo, basterebbe mettersi d’accordo e trovare uno standard condiviso (cosa rara in informatica) che porti finalmente a una tipografia digitale di qualità, pari almeno a quella analogica che ci ha accompagnato fin qui. Ma gli informatici tipografi sono merce rara. Per fortuna, nel frattempo, noi continuiamo a leggere, su carta o su e-ink, ma leggiamo.

 

 

Come salvare una foto perchè abbia una lunga vita?

Camera by pixie--meat ©2006-2016 pixie--meat http://pixie--meat.deviantart.com/art/Camera-29616342

Camera by pixie–meat ©2006-2016 pixie–meat http://pixie–meat.deviantart.com/art/Camera-29616342

Domanda per nulla oziosa visto che ormai le foto sono quasi esclusivamente digitali e non le stampa praticamente più nessuno. Non esiste una regola assoluta: la tecnologia si evolve velocemente e la mole di dati cresce in modo esponenziale.

Un buon compromesso protrebbe essere questo:

Formato della foto 20×30 cm  @300 dpi (ovvero 2362×3543 px)  o, ancora meglio, 30×40 cm (ovvero 3543×4724 px), a 8 bit con salvataggio in tif senza compressione e in RGB senza profilo incorporato.

Perchè? Se scegliamo il 20×30, anche ridimensionando l’immagine al formato medio di una doppia pagina di un magazine, è garantita una qualità di stampa tipografica buona perché compresa tra i 180 e 240 dpi (stampando a 60 linee). Mentre il formato 30×40 garantisce “nativamente” il formato medio di una doppia o per una stampa tipografica di altissima qualità (stampando a più di 60 linee) .

Il profilo non incorporato non ci vincola a priori e consente l’applicazione di un profilo ad hoc qualora sia richiesto dalle esigenze d’uso future.

L’RGB preserva la massima gamma cromatica e contiene il peso del file.

Il tif è un formato di salvataggio standard, un po’ pesante è vero, cheperò non ha compressioni in perdita come il jpg.

8 bit è lo standard, è più che sufficiente e non tutte le applicazioni di fotoritocco lo gestiscono.

Quanto pesa un file? Il 20×30 cm circa 16,5 mb, mentre il 30×40 cm 16,8 mb.

Quindi armatevi di hard disk, fate sempre il back-up e… ogni tanto stampate.